giovedì 19 febbraio 2009

Il mio primo libro


Un'altra prima volta. Il primo racconto, il primo concorso... lo so, lo so che pubblicare un libro da soli non è proprio il massimo, se trovi qualcuno che te lo pubblica è meglio, oltretutto te lo promuove anche. Però questa casa editrice fa dei prezzi onesti. Uno sfizio me lo potevo pure togliere. Che diamine!
Poi, hai visto mai che qualcuno se lo compra anche?
Se vi interessa, lo trovate cliccando qui.

lunedì 9 febbraio 2009

"Orologi" al Premio Panchina 2009

E allora!
Un racconto d'annata, ormai. Ma ha dei numeri.
Dodici, per la precisione.
Ci riproviamo!
Ciao
Piero
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Gent.mo Sig. Mattei



La Commissione ha selezionato la sua opera “Orologi “ per le serate di semifinale che si svolgeranno al Circolo Mazzini, Via Emilia Levante 6 a Bologna il prossimo mese di marzo. Durante le serate le opere scelte dalla Commissione verranno lette da un attore professionista, Filippo Plancher, e votate dal pubblico in sala che decreterà ogni sera i finalisti che concorreranno per l’assegnazione del premio, ovvero della pubblicazione su Il Resto del Carlino.



Fra qualche giorno la sua opera verrà pubblicata sul sito internet www.premioletterariopanchina.it

La informeremo al più presto del calendario delle serate.

sabato 3 gennaio 2009

Margherita



Non li porto mai, gli spicci. Ma per venire da te, passavo almeno dieci minuti a scegliere accuratamente un paio di monete da uno, un paio da due, e così via. Un mucchietto di ferro che facevo scivolare in tasca tra le dita, durante la fila. Eh sì. La fila. Perché per venire da te si fa la fila, Margherita.
Io non vedevo l’ora di avere una bolletta da pagare, o dei soldi da prelevare, per mettermi disciplinatamente in coda e chiacchierare del tempo con quella donna che si lamentava dei dolori, o parlare del governo con quell’altro signore. Non mi importava aspettare. Il primo tuffo al cuore quando uscivo dalla curva e vedevo le impiegate allo sportello.
I capelli biondi, a caschetto. Gli occhiali leggeri, con la montatura rosa. Secondo me, già sospettavi qualcosa, se nel tempo che la fila si accorciava tra me e te, tu trovavi il tempo per essere gentile e sorridente con ogni cliente e mi lanciavi occhiate, rispondendo alle mie.
Quante volte ho ripetuto questa recita? Non lo so. Ogni volta la nostra conversazione si esauriva in poche battute.
- Ha dieci centesimi?
- Ora vedo. Ecco qua.
- Grazie. Molto gentile.
- Ma le pare.
- Buongiorno.
- Arrivederci.
Ogni volta che uscivo dall’ufficio postale sentivo il tuo sguardo sulla mia nuca, che mi chiedeva il motivo per cui non ti avevo fatto capire se la tua sensazione era vera, oppure no.
Ma io dovevo sciogliere un dubbio, prima di fare qualsiasi mossa.
E un giorno, mentre guardavo estasiato le tue mani curate e coperte da anelli appariscenti volare veloci sulla tastiera, ti ha chamato il direttore.
- Mi scusi un attimo – mi hai detto sorridendo.
- Nessun problema – ho risposto.
Ecco. Ora.
Una mossa atletica e sei scesa dalla sedia. Girati. Girati, ti prego.
E ho visto il tuo cucciolo, mentre con la mano delicatamente tiravi su i jeans, andando a coprire l’elastico del perizoma.
Penso di non aver respirato fino al tuo ritorno, dopo qualche minuto.
- Eccomi qua. Centoventicinque e trentasei. Ha trentasei centesimi?
- Ora vedo. Ecco qua.
Ho tirato fuori dalla tasca sinistra i trentasei centesimi e da quella destra il bigliettino che tenevo pronto da mesi. Ti ho passato gli spicci e poi, dopo qualche secondo, il foglietto a quadretti ripiegato.
Hai preso gli spicci e hai guardato il biglietto. L’hai aperto velocemente e lo hai richiuso nel palmo della mano.
- Grazie. Molto gentile.
- Ma le pare.
- Buongiorno.
- Arrivederci.
Tutto come sempre. Mi sarò sbagliato, ho pensato. Ma vuoi che una donna così, con quel mondo dietro abbia bisogno di essere rimorchiata allo sportello?
Invece, dopo qualche giorno, da un numero sconosciuto, mi è arrivato un messaggio che faceva così:
- Ciao. Sono Margherita e sono sposata. Sarà meglio che mi lasci stare.

Gli ho riposto al volo la prima cosa che mi è passata per la mente.

- Ciao. Sono Guido e sono sposato anche io. Credo anche io che sia meglio che ti lasci stare.

E così abbiamo iniziato a scambiarci messaggi, per settimane. Ogni messaggio più o meno parlava sempre del fatto che avremmo dovuto farla finita. Io ti rispondevo sempre subito, tu ci mettevi anche una settimana. E io aspettavo. Fremevo, ma non ti ho mai mandato un messaggio prima di una tua risposta. Poi un giorno ti ho scritto:

- Ma un pomeriggio libero, per vederci, ce l’hai?

Dieci minuti.

- Venerdì pomeriggio, dopo le tre.

Mi avevi detto che avevi una macchina rossa, che dava troppo nell’occhio. Così ti sei fatta prestare la macchina da tuo marito, una grande macchina grigia.
Ti ho aspettato per mezz’ora. Il tempo limite. Mi era già capitato che altre donne mi dessero buca, molte volte. Mi sono dovuto dare un tempo limite. E trenta minuti di ritardo si possono concedere. Anche se poi alla fine aspettavo almeno tre quarti d’ora, fino ad un ora oltre non ho mai aspettato.
Avevo anche un po’ sonno e mi sono assopito, ascoltando Miles Davis.
Poi ti ho visto bussare al vetro e ti ho aperto.

- Ciao Margherita.
- Ciao.

Ci siamo stretti la mano e ci siamo dati un bacio sulla guancia, come fanno i parenti. Ho messo in moto e mi sono diretto da qualche parte, non ricordo dove. Abbiamo cominciato a parlare del più e del meno, delle nostre famiglie, del lavoro. Dopo quasi un’ora ho fermato la macchina in un piazzale.

- Perché ti sei fermato? – mi hai chiesto con tono minaccioso.
- Scommetto che qualche idea in proposito ce l’hai – ho riposto.
- Ma che ti sei messo in testa? Riportami alla macchina!
- Senti, se sei arrivata a questo punto, penso che almeno un bacio me lo devi.

Mi hai guardato in silenzio, quel silenzio che sa di resa. Hai solo abbozzato un minimo tentativo di resistenza, giusto per salvare le apparenze, come insegnano le mamme.

- Va bene. Solo un bacio, però.

E come insegnano le mamme, non mettere la paglia accanto al fuoco, se non vuoi che scoppi un incendio. Il bacio si è presto tramutato in uno sbottonare di camicette e di jeans, in uno sdraiare di sedili. Mi sono staccato a fatica dalla tua bocca, per cominciare ad esplorare i tuoi seni ed i tuoi
fianchi.

- Girati. Ti prego.

E tu mi hai voltato le spalle, docilmente. E così l’ho visto.
Il tuo cucciolo, fasciato con una mutandina di pizzo nero. Ho preso tra pollice ed indice i tuoi fianchi e ti ho messa in ginocchio. Poi ho tolto la mascherina al cucciolo.
Lo ho misurato per qualche secondo con le mani. Una bella quarantaquattro, non abbondante. La pelle liscia. Ti ho dato un pizzicotto, per saggiare il tono muscolare.

- Ahi! Mi fai male!

Bene. I soldi per la palestra sono ben spesi, ho pensato.
Senza attendere oltre, ho affondato il viso in quella meraviglia, e tu hai singhiozzato dal piacere. La mia lingua ha indugiato a lungo, tra le due porte del paradiso.

Ad ogni affondo, un sospiro soffocato. Avrei continuato per tutta la vita ad assaporare il mosto di quella vite selvatica. Invece tu mi hai rimesso sui binari.

- Basta. Basta. Prendimi. Così, da dietro.

Pazienza. Mi sono tolto quel poco che rimaneva e mi sono messo in ginocchio dietro al cucciolo. Ho preso la tua collana colorata da dietro e ti ho tirata verso di me. Ed i tuoi singhiozzi si sono mischiati con le mie urla, mentre io ti cavalcavo a pelo, briglia in mano.
Alla fine sono rimasto con le mani e la bocca sul tuo cucciolo, mordendolo, baciandolo, schiaffeggiandolo.
Mentre facevamo ritorno, hai pianto. In silenzio, cercando di non farmi capire quanto ti sentissi colpevole per quello che avevi fatto.
Non ti ho vista più, all’ufficio postale. Ai messaggi neanche rispondi più.
Chissà cosa farai in questo momento. Forse stai chiacchierando con tuo marito, forse stai cucinando. Chissà dove sarà riposto il tuo cucciolo, su quale delicato cuscino sta facendo dondolare la tua burrosa figura.

giovedì 1 gennaio 2009

Grazie ancora Marco

Prima di fare un giro a vedere se qualcuno ha fatto, o farà, una recensione su "La macchina del capo", lascio qualche riga qui, per parlare dello spettacolo che è andato in onda questa sera su LA7.
Ancora una volta mi ha colpito quella capacità di raccontare delle storie che ci appartengono, che fanno risalire dal fondo della nostra memoria certe immagini, profumi, suoni, che pensavamo aver perso per sempre.
Ho riso e ho pianto. Uno spettacolo emozionante, come sempre.
Grazie Marco.
E grazie a LA7 (non è la RAI, come cantava qualcuno).
Ciao
Piero

martedì 30 dicembre 2008

Intervista su "La piazza"


Me la posso tirare un po', per favore? E' sempre un'intervista, anche se su un piccolo giornale locale. Piuttosto che nulla, è meglio piuttosto, direbbe qualcuno.
Grazie a Nadia Turriziani, che mi sta supportando (nonchè sopportando).
Ciao
Piero

Pàssim - Racconti e poesie


Sembra fatto apposta, invece no. Stanno uscendo tutte assieme una serie di pubblicazioni che contengono miei racconti. "Pàssim - racconti e poesie" è l'antologia del Premio Panchina 2008, curata da Grazia Gliozzi. Contiene un mio pezzo che ha partecipato al concorso quest'anno.
Per informazioni e acquisto del libro contattate la casa editrice Odoya
Ciao
Piero

domenica 21 dicembre 2008

Marco Paolini torna su LA7

Marco Paolini torna su LA7, con un nuovo spettacolo.
"La macchina del capo" andrà in onda giovedì 1 Gennaio 2009.

giovedì 4 dicembre 2008

Una storia nel cassetto


I puristi storceranno un po' il naso. Ma se da qualche parte esiste una raccolta di racconti con alcuni dei miei racconti bisogna che si sappia in giro. Anche se su Lulu e si tratta di una raccolta autoprodotta. Soprattutto perchè il ricavato andrà devoluto in beneficienza.

Il collegamento alla pagina del sito "Una storia nel cassetto" dove si parla di questo libro lo trovate qui.
Per acquistarlo direttamente invece cliccate qui.

Non è una buona idea per Natale?
Ciao
Piero

giovedì 27 novembre 2008

Amore di mamma


- Hai acceso?
- Sì, sono pronto.
Lothar si sistemò i capelli. Si chiamava Mattia, ma nessuno poteva chiamarlo così, senza rischiare grosso. Guardò in camera e iniziò a parlare, con tono professionale.
- Signore e signori buonasera. Siamo qui vicino al fiume per quello che sarà l’evento della stagione. Il processo a un infame.
Lothar indicò l’albero alla sua destra. Giulio abbassò lentamente l’inquadratura, scoprendo un ragazzo con gli occhi spalancati e la faccia tumefatta, legato e imbavagliato.
- Vostra maestà, potreste dirci di cosa è accusato questo povero giovine? – disse Giulio, mentre ridendo continuava a riprendere il ragazzo imbavagliato.
- Ma certamente. Anzi, faremo di più. La sua sorte sarà decisa dai presenti. Noi esporremo solo le prove a suo carico.
- LOTHAR! LOTHAR! – un incitamento cadenzato si levò per qualche secondo alle spalle di Giulio. Altri tre spettatori assistevano divertiti alla scena. Claudio, Fabio e Andrea, gli altri devoti sudditi di Lothar. Bene. Allora, l’infame è accusato di aver tentato di sottrarsi al rito di iniziazione.
- Ma questa è una cosa gravissima! – disse Fabio.
- Esatto. Si è rifiutato di consegnare il telefonino, come hanno fatto tutti i suoi compagni della prima G. Non solo. Appena ha potuto ha raccontato l’accaduto ai professori e al preside!
- NOOOOO!
- Eh si. Si è creata una situazione molto spiacevole. Siamo stati interrogati. Forse ci sospenderanno.
- Ma è incredibile, vostra maestà!
- E lo sapete cosa ha fatto quando lo abbiamo bloccato all’uscita della scuola e abbiamo cercato di capire il perché di questo accanimento contro la nostra persona? Si è divincolato e siamo stati morsi! Non ci credete? Guardate qua!
Lothar si sbottonò il polsino della camicia e si tirò su la manica, lasciando intravedere una cicatrice piuttosto evidente.
- Dopo tutto ciò, secondo voi, può essere lasciato impunito?
- NOOOOOO!
- Bene. Confidate nell’immensa saggezza del vostro sire?
- Sì, vostra maestà!
- Noi proponiamo che gli vengano spezzate le dita dei piedi e delle mani.
- SIIIII!
- Bene. Che gli sia tolto il bavaglio. Che le sue urla salgano al cielo. Che anche la luna si accorga del suo dolore! Che sia eseguita la sentenza.
I tre spettatori si avvicinarono al ragazzo e gli tolsero il bavaglio. Per tutta risposta, appena ebbe la bocca libera, questi tentò di morderli.
- Bastardo! Cane rabbioso! – disse Claudio tirandogli un sonoro ceffone, mentre gli toglievano le scarpe. Mentre due a fatica lo tenevano fermo, Andrea prese un paletto di legno da terra e lo brandì con due mani. Lo posò sull’alluce sinistro del ragazzo, prendendo la mira. Poi lo alzò al cielo e vibrò il primo colpo.
L’urlo del ragazzo scosse la campagna. I suoi occhi si iniettarono di sangue e la voce si fece più roca. Un filo di bava scivolò via sulla guancia.
Tutti risero di gusto. Lothar invece si era messo seduto davanti al ragazzo con le gambe incrociate, a godersi la scena e lanciò una feroce occhiata ad Andrea, che si preparò subito al secondo colpo. Giulio nel frattempo riprendeva tutto, con impegno.
Il secondo colpo frantumò l’indice e il medio. Il ragazzo emise un urlo rabbioso.
- MAMMMAAAAAAAA!!!
- Chiama la mamma, che tenero! – disse Giulio rivolto a Lothar, che scosse la testa.
- MAMMMAAAAAAAA!!! – la voce si fece ancora più roca e rabbiosa.
- Sì sì, come no! Mamma, chiama mamma!
Lothar vide cadere il paletto per terra, con una delle due mani di Andrea ancora attaccate. Alzò lo sguardo.
Un essere alto circa due metri, con la testa di cane staccò l’altro braccio di Andrea con un morso.
- Mamma! – disse sospirando il ragazzo seduto per terra.

venerdì 14 novembre 2008

Racconto - Il bottone


Il suono del vecchio Siemens squarta l’ultimo scampolo di paradiso. Ma che male ho fatto per merirarmi questo? L’ho ucciso io Gesù Cristo? Mi pare proprio di no.
E tu? Come risolveresti il problema del bottone ostinato, al quale hai spiegato varie volte che è ineducato stringere a morte la pancia quando viene chiamato a fare il suo dovere? Basta mangiare di meno, bere di meno e rifiutare gli inviti a pranzo e a cena, mi diresti. E io? Potresti per cortesia cominciare a pensare a quella domanda su Gesù Cristo, alla quale ancora non mi hai risposto?
Una cosa posso provare a farla. Una corsetta. Un amico mi ha detto che è semplice. Mezz’ora e hai risolto i tuoi problemi.
Però. Che ci vuole? Mi metto la maglietta, i pantaloncini, i calzini bianchi di spugna e le scarpette mezze sfondate. Poi mi infilo al buio nella camera di mio figlio, alla ricerca dell’emmepitrè.
Eccomi. Chiavi, marsupio, auricolari di ordinanza. Venti secondi per decidere. Soundgarden o Alex De Grassi. Alex no. Non vorrei addormentarmi mentre corro.
Primo giro. Vado bene. Piano, senza correre, la signora infreddolita mi passa davanti e mi ignora completamente. Secondo giro, comincio ad avere qualche problema di respirazione, ma è normale, portare a spasso cento chili non è una passeggiata, è un allenamento. Sul Siemens sono passati dieci minuti scarsi. E quando ci arrivo a mezz’ora?
Seiedieci. Mancano cinque minuti alla fine del supplizio e Black Hole Sun mi sta trapanando il cervello. Mi sento meglio di quando sono uscito e peggio di quel ragazzo con lo zainetto che si avvia al cantiere, incazzato ma almeno riposato, che sicuramente avrà appena preso il primo caffè della giornata e sta per accendersi la prima siga della giornata.
Fatto. Di mezz’ora avrò corso sì e no un quarto d’ora. E tutto per farti piacere a te. Poi dici che l’uomo non si affeziona a delle cose inanimate.
Ok. Che ne dici di darmi un po’ di respiro oggi? Dai.
Ignorante che non sei altro. Un’altra giornata in apnea.