venerdì 26 settembre 2008

Racconto - Kustor


-Affari. Solo affari.
La voce di Kustor si fermò un attimo. Si accese una Gitanes e riprese a raccontare.
-Il mondo è cambiato, Mike. Quando iniziammo eravamo degli idealisti, combattevamo pensando che un giorno saremmo riusciti a costruire un mondo migliore, un posto senza guerre, senza poveri e ricchi. Facevamo la guerra alle cose che non ci piacevano. E così ho fatto, per anni. Poi un giorno arriva un ometto. Un impiegato di banca, a prima vista.
-Mi manda Frank Wise.
-Ah. E sentiamo un po’. Che cosa vorrebbe Frank Wise da me?
-Dobbiamo parlare di affari.
-Niente da fare - gli faccio io - alla gente come voi io gli piazzo una bomba sotto il culo e li faccio sparire. Qualunque cosa mi vuoi dire non mi interessa. Anzi, fai bene a sparire anche tu.
-Direi che ti conviene ascoltare la mia proposta.
-Direi che non ho tempo.
-Ripeto che ti conviene. Dammi retta.
Quel tono minaccioso mi fece ribollire il sangue. Lo avrei strozzato con le mie mani, li’, subito. Poi invece decisi di starlo a sentire.
-Sappiamo delle tue imprese. Sei bravo. Molto bravo. Per un po’ di tempo ti abbiamo anche dato la caccia. Poi abbiamo deciso che era meglio lasciarti fare quello che volevi. In fondo non facevi niente altro che il nostro gioco. Più tu attaccavi una caserma, più noi avevamo un pretesto per aumentare la nostra presenza nella zona. Una base saltata in aria? Tre nuove basi nelle vicinanze. Andavi alla grande. Perché metterti i bastoni tra le ruote? Poi hai cominciato a mirare più in alto. Invece di continuare a colpire militari e corpi speciali ti sei montato la testa e hai iniziato con i politici. Poi i finanzieri, le multinazionali… tu capisci, abbiamo dovuto per forza ricominciare a darti la caccia… ed ora ti faccio vedere una cosa.
Apre la sua borsa e tira fuori una serie di fogli.
-Vedi questi elenchi? Dagli un’occhiata.
Prendo due o tre fogli e comincio a leggere. Poi ne prendo altri. E poi altri.
-Ci sono tutti - mi fa – Hai visto? Ci sono proprio tutti gli uomini della tua organizzazione. Basi, finanziatori, fiancheggiatori. Ma anche indirizzi, nomi dei familiari…
-Ok, basta - gli faccio io, puntandogli il ferro in mezzo agli occhi – non mi spaventi con questa roba. Sai benissimo che se distruggete la nostra organizzazione in due mesi abbiamo una nuova rete solida e collaudata pronta per entrare in azione. Non mi freghi. Nossignore. Dimmi che c’è qualcos’altro nella tua proposta, dimmi che non mi hai fatto perdere tutto questo tempo inutilmente…
- Si. Ascolta. Ora viene il bello. Potremmo continuare a farci la guerra, passare i prossimi dieci anni a farci saltare in aria. Ma ci conviene? Sei vecchio ormai, Kustor. La smetti di fare l’idealista? Il Don Chisciotte dei miei stivali? Lo sai di cosa parla il futuro? Parla di fame di petrolio, di fame di energia. I popoli della Terra sono completamente dipendenti dal petrolio e dal gas naturale. E lo saranno ancora di più nei prossimi anni. Pagheranno qualsiasi prezzo. Oro, diamanti… non varranno più nulla. Petrolio, petrolio… si parlerà solo di questo, da adesso in poi. Noi non vogliamo che tra dieci anni i russi e gli arabi comandino il mondo. E stiamo organizzandoci per opporci a questo predominio.
La discussione stava prendendo una piega diversa. Rimisi il ferro in tasca.
-Semplice. Andiamo a prenderci il petrolio dove sta. Nei paesi arabi occidentalizzati e moderati, non c’è verso. Sono potenti, ben organizzati. Diventeranno i nostri nemici, tra pochi anni. Andiamo nei paesi islamici. Sono paesi arretrati, dove chi è più forte la fa da padrone. Non ci sono organizzazioni sociali, strutture di governo, nulla. Solo una massa di tribù che si scannano tra di loro. Andiamo li’ e ci prendiamo il petrolio.
-Ma mi prendi per il culo? Come farete a prendervi il petrolio?
- Quello che tutto il mondo già sa è che sono stati islamici, che hanno basi terroristiche e armi non convenzionali, anche se non è mai stato vero. Ma non basterebbe a giustificare un’invasione. Un invasione costa. Migliaia di soldati, navi, aerei… dovremmo essere aggrediti, per poter reagire in quel modo… insomma, questo è il tuo lavoro, Kustor.
Che ti devo dire – disse alla fine Kustor, spegnendo la sigaretta sul marmo - ho fatto un bel lavoro. Non mi pento. Ho progettato un attentato fantasmagorico. Ho dato tutte le indicazioni e Frank Wise ha eseguito il compitino. Tremila morti? Magari fossero solo cosi’ pochi… questa è una delle cose che sono uscite dai notiziari… ma la cosa più divertente era vedere la faccia del capo di quella organizzazione terroristica finta che ha inventato la CIA. Che ridere, vedere quella faccia da ebete con la barba bianca. Ogni tanto esce in televisione e minaccia il mondo dai suoi monti. Vive sui monti, come Heidi, in un area non più grande di un piccolo paese europeo. Trecentomila marines, più un esercito multinazionale non è stato in grado di trovarlo. Anzi, una volta che lo stavano per prendere è fuggito in moto. Ma dai…
Kustor rise di gusto. A me devo dire non veniva molto da ridere. Non sapevo come, né quando, ma sapevo che sarebbe successa qualche altra cosa, prima che riuscissi ad uscire da lì.
- Ora sai tutto. Ma di te non mi fido, Mike. Sei troppo in gamba. Un amico come te non lo voglio. Figuriamoci un nemico.
Mentre diceva così, Kustor fece un cenno con la testa ad uno degli uomini che mi tenevano le braccia dietro la schiena. Un dolore lancinante mi attraversò il collo.
L’ultima cosa che vidi fu il mio corpo ammucchiato per terra, come un sacco vuoto, coperto dal sangue che mi sgorgava da sotto la bocca.

Racconto - Colpo di muso


Che hai da guardarmi? Hai la coscienza sporca?

Umani. Non capite niente. Mi guardi con quegli occhi imploranti e mi fai delle domande, come se io ti potessi rispondere.

- Come ti chiami?
- Hai fame?
- Perché sei arrabbiato con me?

Lascia stare, ho le mie ragioni, per essere incazzato.
E poi occhio, che io non sono un randagio, uno di quei cani sporchi e brutti che si vedono per strada.
Sto in una casa grande, con un giardino enorme. Una cuccia con tutti i confort, pranzo e cena, finestrina con venticello che quando ho caldo mi ci butto dentro e sembra l'aria condizionata. Poi, al pomeriggio, Marco e Alessio che mi fanno correre a riprendere il legnetto. Sempre più lontano, e io corro. Sempre più veloce, e io sempre più veloce.

E poi gioco a pallone. Loro mi fanno un passaggio a mezz'altezza e io faccio un salto per prenderla con il muso. Colpo di muso, lo chiamano i bambini.

- Dick corri, c'è il gatto!

E io corro e lo faccio scappare. Mica c'ho paura, io. Una volta ce ne erano tre, l'ho rincorsi fino a quando sono scappati e non sono più tornati.

Sono io il padrone del giardino, altroché! La mattina passa Andrea, là fuori dal recinto. - Ciao Dick - mi dice e io abbaio due volte. Mi hanno insegnato a salutare così. Poi si alza la serranda della cucina e la padrona mi butta qualcosa della sera prima. Roba di prima scelta. E tutte le mattine, mica storie!
E quando esce il padrone? Mi metto vicino alla macchina e lo aspetto per salutarlo. Solo scodinzolare, perché lui odia quando mi infilo nella macchina.
Per non parlare di quando gli metto le zampe sui pantaloni per giocare. La volta che ci ho provato mi ha tirato un calcio in pancia che ho vomitato verde per due giorni. Ora lo so, botte non ne prendo più.

Strani, siete proprio strani, voi umani. Stamattina il mio padrone è stato dieci minuti a piangere come un bambino per farmi salire in macchina.
Alla fine per non sentirlo ho deciso di salire. Ma invece di farmi salire davanti con lui, come mi sarei aspettato dopo quella sceneggiata, mi ha aperto il bagagliaio, per farmi mettere sopra una busta di nailon nera e appiccicosa. Ma se hai tanta voglia di stare con me, mi metti così lontano che per parlarmi devi urlare più forte dello stereo? Ma guarda che tipo.

E continuava a urlare, e io su quel nailon, con quella puzza di lavanda che odio. E Dick di qua, e Dick di là, mi diceva che stavamo andando al lago, in un posto fantastico. Siamo arrivati e mi ha fatto scendere.

Non mi ha neanche fatto vedere un po’ di lago che mi ha fatto:
- Dick, vediamo se prendi questo!

e mi ha lanciato un legno più lontano che avessi mai visto prima.

Ah si? Ora ti faccio vedere quanto ci metto, ho pensato. Sono partito a razzo e sono tornato velocissimo.

Ma dove stai? Ma quella che va via è la tua macchina?
Umani. Ma come? Non volevi il legnetto? Corro a tutta velocità a prenderlo e poi te ne vai?

Così ho posato il legnetto e ho aspettato. Ho aspettato. Fino a che sei arrivato tu!
Appena ti ho visto ho capito tutto quello che è successo. E’ colpa tua, sicuramente. Mi ci gioco il collare.
Io stavo andando a prendere il mio legnetto e tu e il mio padrone vi siete messi anche voi a giocare a legnetto. Tu glielo hai tirato lontano, cosi’ lontano che il mio padrone ha dovuto correre in macchina per andartelo a prendere.

Dai, mi è passata, lo so che è un gioco. Può capitare di fare un tiro troppo forte. Guarda, smetto anche di abbaiare.

Giochiamo assieme. Hai un pallone? Ti faccio vedere il mio colpo di muso!

Dai, aspetta qui assieme a me. Io lo conosco bene, il mio padrone. Prima o poi ritorna, vedrai.

giovedì 18 settembre 2008

La mia vita in bilico nel casinò Wall Street

Leggete quest'articolo. Molto istruttivo, direi.
Da la Repubblica di oggi

http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/borse-7/scatola-broker/scatola-broker.html

Ciao
Piero

venerdì 12 settembre 2008

Piccoli scrittori crescono...

E così venne il momento della prima recensione che mi riguarda...

http://www.parvapolis.it/page.php?id=41361

Beh? Festeggiamo o no? Intanto grazie a Nadia Turriziani!

Ciao

Piero