“Marco, ormai con te ho perso tutte le speranze. Ti ho cresciuto, ti ho insegnato tutto e sei l’unica persona a cui tengo veramente. Volevo fare di te una persona capace, ambiziosa. Ma ho fallito. E la colpa è mia. Non si può ricavare la cioccolata dalla merda. Tu sei un palmo sotto gli altri. Dovrò farmene una ragione”.
Questo era quello che si sentiva dire Marco da quel vecchio. La cioccolata dalla merda.
Da quando aveva quattro anni, quando era andato in adozione, dopo la morte dei genitori. Marco aveva deciso che vent’anni di quel supplizio sarebbero potuti bastare a chiunque. Figuriamoci a lui.
La soluzione ai suoi problemi aveva un nome. Anzi, per la precisione, un soprannome.
“Non ti preoccupare Marco, se vuoi risolvere questo problema vieni da me. Conosco gente che per mille euro ammazza la mamma”, gli aveva detto il Drago.
Sarebbe stato molto facile. Molto facile.
L’ora del Drago era arrivata, per gli ultimi dettagli. Martedi’ pomeriggio.
La Golf bianca del Drago era fresca di lavaggio. “Marco, dovrai fare esattamente come ti dico. Sabato sera, fai tutto come sempre. Ti prepari, esci, vai all’Hash e ci passi la serata. Dopodiché te ne vai un po’ in giro, vai a fare colazione al mare, ti metti a prendere il sole in spiaggia, fai quello che ti pare. Quando deciderai di tornare a casa, avrai già saputo notizie del vecchio dalla televisione”.
Marco, cercava di inghiottire quel poco di saliva che gli era rimasta, senza riuscirci. “E’ l’unico modo che hai per non essere invischiato in questa storia. La polizia ti cercherà subito, lo sai.”
Marco non sarebbe tornato indietro. Per quella situazione vedeva solo una via d’uscita. Avanti fino alla fine. Qualsiasi cosa sarebbe stato meglio di rivedere quella faccia.
Ogni mattina.
Sabato, ore tre del mattino. La Micra verde di Marco esce dal parcheggio dell’Hash. Marco ha vomitato, dopo il secondo cocktail.
Sta male, Marco. Dolori di stomaco e angoscia amplificata dall’alcol.
“Voglio andare a casa.
No. Devo tornare domani pomeriggio.
Ok, mi fermo a mangiare qualcosa.
No, vado al mare e dormo fino mattina.
Voglio andare a casa.
Voglio andare a casa.”
Alla fine, la Micra si dirige verso il mare e si ferma al parcheggio. Vicino a lui, un paio di macchine con i vetri appannati. Marco reclina un po’ il sedile e si rilassa. Poi accende la radio e inizia a scorrere rapidamente le stazioni.
Arrivano tutte assieme. Cinque o sei macchine e si parcheggiano dietro alla Micra.
La radio comincia a trasmettere un notiziario, finalmente.
Il vetro dello sportello a sinistra di Marco scoppia.
“Bastardo, scendi!”. Una decina di mani lo trascinano giù dalla macchina. “Ti piace guardare, eh? Ti facciamo passare la voglia, guardone del cazzo!”. Un dolore lancinante all’inguine, poi un diluvio di calci alle costole, in faccia. Dopo alcuni interminabili minuti Marco non sente più niente.
Il sole è già alto. Marco si tocca. Che dolore. Il sangue gli impiastra la faccia. Con tutte le sue forze prova ad alzarsi.
“Che sfiga.
Speriamo che almeno il vecchio non ci sia più.
Devo chiamare il Drago.
Come sto male. Sto per morire”.
Qualcuno si ferma. Dopo mezz’ora, un’ambulanza lo porta via.
“Che cazzo ci facevi in quel posto?”.
Marco fa un balzo sul letto.
Il vecchio è fermo sulla porta della camera. Con un moto di pietà guarda quello che resta di Marco. “Certo che ne hai prese…”.
“… e se l’è vista brutta!” dice il dottore entrando. “Ha quattro costole fratturate, varie ecchimosi… ma niente che non si possa guarire. A te è andata bene, a quei tre che hanno portato stanotte…”
“Ma chi, quelli che sono usciti di strada sul cavalcavia con la Golf bianca? Io sono passata di là stamattina… non so se sono riusciti a portarli interi in ospedale, quei poveri ragazzi…” fa un infermiera, avvicinandosi al dottore.
Una suora si fa il segno della croce, e si allontana.
Copyright Piero Mattei 2007