Qualche volta, quando cerchi di ricordare un viso, un’espressione, la tua memoria fa cilecca. E più ti sforzi, più il viso che cerchi diventa un’immagine sfumata, dai contorni indefiniti. Ti vengono in mente altri visi, altre espressioni. Lo sforzo immane, alla fine, ti convince che il viso che cerchi è una cosa a metà tra due visi, oppure un incrocio tra un viso ed un’espressione.
Stamattina il tuo volto non ce l’ho. Mi manca, come mi mancavano le figurine per completare la collezione di giocatori, che poi non trovavo mai.
Poca gente, stamattina in spiaggia. Barche rovesciate, il moscone in secca. Gli ombrelloni aperti i bambini che giocano sul bagnasciuga, dove qualche anziano passeggia, in pantaloni bianchi e camicia a fiori.
E’ agosto, ma ormai il sole non mi scalda più come ha fatto fino a ieri.
Mi guardo intorno, cercando di trovare qualche cosa, una cosa qualsiasi, che mi ricordi qualcosa di te. Nulla. Tutto quello che resta qui di noi assieme è questa scritta sul muretto, fatta con il pennarello, fatta la prima sera che siamo usciti assieme, dopo esserci baciati. La leggo e la rileggo, cercando di vederci il tuo viso, tra i tratti incerti di inchiostro indelebile.
Qualcuno siederà qui al mio posto domani. E forse, riuscirà a vederci quello che io non riesco.
Prendo il cellulare e provo a mandarti un ultimo saluto. Vorrei dirti che ti rivedrò presto, che verrò a trovarti a casa tua, a Firenze, come ti ho promesso mille volte.
Non ho il tuo numero. Forse non l’ho mai avuto. Non so cosa chiedere al mio cellulare, per poterti scrivere, salutare, parlarti ancora una volta.
Forse anche questa volta sono stato vigliacco e ho avuto paura di innamorarmi. Forse ho cancellato l’unico legame che avevo con te, il tuo numero.
Quello che so è che ora non faccio altro che mandare messaggi a grappolo, a numeri che sembrano il tuo, sperando di convincere il caso che sono veramente innamorato. Anche se non lo voglio ammettere neanche a me stesso.
Un’altra possibilità. La voglio. La pretendo.
Basterebbe sentire la tua voce. Basterebbe per addolcire questa tristezza che mi sta mangiando vivo, che mi sta facendo respirare a fatica.
Nessuno mi salverà da questa giornata.
Rimarrei qui tutta la vita, se servisse a rivederti. O a risentirti. Perché so che prendere la macchina e farmi trecento chilometri di autostrada per tornare a casa senza ricordare il tuo viso potrebbe uccidermi.
Sbatto la testa sul muretto e piango.
Piango perché sono stato egoista e l’egoismo andrebbe abolito per legge. Andrò al bar e ordinerò una vodka. Poi un’altra, sperando che l’alcol riesca a cancellare questa mia voragine.
Dopo mi sdraierò qui sul muretto. Con la testa sulla nostra scritta.
Aspetterò che passi anche l’ultimo giorno al mare.
Copyright Piero Mattei 2007
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