venerdì 14 marzo 2008

Racconto - A pranzo da mamma


Odio guidare la macchina più di ogni altra cosa. Odio la coda al semaforo e guardare le faccie sconvolte delle altre persone. Non sopporto quelli che ti vogliono lavare i vetri già puliti e che ti sbattono in faccia pezzi di cartone, con sopra situazioni familiari degne di uno show televisivo pomeridiano.
Mamma è stata telegrafica. “Vieni, ti aspettiamo. Ciao.”
Certo. Avrei potuto trovare una scusa qualsiasi. Lavoro, impegni. Ci sarebbe voluto un attimo. L’ho fatto già altre volte.
Invece stavolta eccomi qua. Ormai sono fuori città. C’è un po’ di autostrada da fare. Cerco qualcosa alla radio. Anche se so che non c’è niente di interessante per me, oggi.
Sono sulla provinciale. Si cominciano a scorgere le colline. Ancora pochi minuti e vedrò il boschetto.
Marco, ma ti ricordi il rifugio? Stava proprio qui, vicino casa tua. A parte te e me, nessuno sapeva di quelle quattro tavole, inchiodate su quell’albero. Ma quanto c’è voluto, per scovare tutto quello che serviva? Dei mesi, credo. I chiodi e il martello ricordo che li abbiamo rubati a tuo padre.
E la scala? Abbiamo passato non so più quanti pomeriggi a provare a farne una. Era un’impresa impossibile. Ma come si fa? Con la corda? E chi è capace? Poi tu hai detto ci penso io, so come si fa. Ma piantala. Vabbè. Proviamo.
La tua scala si è rotta dopo aver salito due pioli. Poi l’hai chiesto a tua mamma, zia Anna. E ci ha pensato lei. Una cosa incredibile! Aveva cucito con dello spago dei pezzi di vecchi manici di zappa a quelle due corde.
Quando calavamo quella meraviglia dal rifugio sembrava di scendere da un elicottero, come nei vecchi film quando cercano di salvare qualcuno da un’inondazione.
Non smettevamo più di salire e scendere. Per un paio di giorni non abbiamo fatto altro.
Il paese è vicino. Ecco il canale. La chiusa dove andavamo a pescare. Ma ti ricordi quanto eravamo scemi? Pescavamo e buttavamo via il pesce. Osservare quei poveri esseri a terra spalancare la bocca e le branchie a scatti era troppo per noi. Dei bimbi rantolanti. Nessuno di noi due ha mai resistito. Il pesce tornava a nuotare dopo pochi minuti.
Gli altri favoleggiavano di tonnellate di pesce pescato senza problema. E noi zitti.
Ma come poteva uscire tutto quel pesce da quel canaletto? E soprattutto, chi lo aveva mai visto? Probabilmente anche gli altri ributtavano i pesci presi in acqua. Eravamo tutti dei veri pescatori, insomma.
Ecco il paese. C’è già la folla davanti la chiesa.
E quanto mi sto sentendo triste, ora.
Eccoti, Marco. Scusa, ma per ora faccio finta di non esserci. Non sono ancora pronto. Da te vengo dopo, mi dico. Dammi un’attimo. Il tempo per salutare qualcun’altro.
Il prete si scaglia contro le moderne mistificazioni della morte. Come Halloween. La morte è ben altra cosa. E oggi non so dargli torto.
Non posso credere che zia Anna non ci sia più. Era la più giovane e la più bella di tutti, in quella famiglia. Se ne è andata in due mesi. Come faccio a trovare un senso a tutto ciò?
L’abbraccio di Marco è fortissimo. E io non so cosa dire. Le sue lacrime mi inondano il viso. Andiamo.
Mentre l’operaio del cimitero chiude il loculo, anche le persone più disinteressate alla cosa smettono di parlare. Il rumore della cazzuola che gratta e reimpasta il cemento rimbomba in quelle quattro mura, affollate di foto e fiori.
Ciao Marco, magari ci si ritrova qualche altra volta, magari in un momento migliore di questo.
Come se poi il tempo per vederci esistesse veramente. Magari per raccontarci ancora del rifugio e delle pescate nel canale.
E’ finita. Si va a pranzo da mamma.

Copyright Piero Mattei 2007

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Commento lasciato anche sul forum XII: http://xii.forumfree.net/?t=26083336

Nello stato d'animo della voce narrante, credo che le frasi secche, aride, a singhiozzo, siano in linea con i sentimenti che gonfiano il suo cuore e agitano i suoi pensieri. Pensieri che sembrano accendersi e spegnersi come la luce di un neon difettosa.
Una scrittura più fluida, più armoniosa, mi sarebbe sembrata non in sintonia con la situazione emotiva che coinvolge un uomo che si appresta a veder seppellita una persona cara.
Lo stile "spezzettato" sembra evocare singhiozzi e lacrime trattenuti a stento.

Ciao, Luca

Admin ha detto...

Grazie Luca.
Ciao