venerdì 30 maggio 2008

Racconto - Dicevano


Mi hanno detto che sei tornato.
L’ho saputo stamattina da mia madre, ma ancora non ci posso credere. Mi dovevi vedere. Ho fatto un salto dalla sedia alto cosi’. Poi ho iniziato a rotolarmi per terra dalle risate, non riuscivo a smettere.
E pensare che dicevano che non saresti tornato mai a casa tua. Me lo hanno ripetuto talmente tante volte che alla fine avevano convinto anche me.
E stasera non ci sono santi. Non sarà certo questo caldo che mi terrà lontano da te!
Ti conosco bene. Sono sicuro che se passo vicino casa tua, la finestra della tua camera è socchiusa. A te manca sempre l’aria.
Mi avvicino quatto quatto. La tua finestra è al pianterreno. Sotto, accovacciato per terra, c’è il vecchio Toby, che non sta mai a più di tre metri da te.
Non voglio svegliarlo. Piano piano, lo scavalco ed entro. Mentre sono a cavallo del davanzale, lui alza la testa e addrizza le orecchie. Ma poi si rimette giù. Io entro e mi siedo ai bordi del tuo letto.
Guarda che roba! Sai che faccio? Prima di svegliarti, mi voglio godere queste pareti cariche di foto. Forse non te l’ho mai detto, ma questo era uno dei motivi per cui venivo più volentieri qui a casa tua.
Non ci credi? Guarda questa. Questa foto l’ha fatta mio nonno a casa sua. Ci siamo io e te, avevamo si e no otto anni, con le bici. E guarda che bici! Ma le fanno ancora con il freno a pedale? Non s’era mai visto un sistema per frenare che non frenava mai.
Ma quando pedalavamo andavamo veloci come Toby quando inseguiva le lepri. C’era lo stradone dietro il podere del nonno dove facevamo le gare. E quelle gare richiamavano anche tutti i bambini del vicinato. Un tifo da stadio. Anche se in quelle gare non vincevo mai, secondo me perché mi mettevi di nascosto la sabbia sulla catena.
Io e te passavamo le ore sugli alberi, a raccogliere i fichi, mentre Toby abbaiava e scodinzolava con le zampe appoggiate al tronco. Fino a che non arrivavano le vespe e dovevamo scappare per tutta la campagna.
E la gara dei cocomeri? Mangiavamo un cocomero a testa. Poi ci mettevamo all’inizio del campo. Pronti, via. Camminavamo all’indietro, pisciando, vinceva chi faceva la scia più lunga.
E qui non vincevi mai. Ma sono sicuro che se te lo chiedessi, mi diresti che non è vero.
E questa? Questa è bellissima. Ci siamo sempre io e te. Ma eravamo un po’ più grandi.
Guarda che faccie. Tronfie e aggressive. Come a voler avvertire il mondo. Attenti, arriviamo. Sedici anni e la voglia di spaccare tutto. Colpa degli ormoni.
Ma questo l’ho capito solo un bel po’ di tempo dopo.
Poi la vita ha scelto per noi strade diverse, come succede spesso. A diciotto anni ci siamo separati.
Non c’era più molto da divertirsi. Tuo padre tornava spesso la sera ubriaco. Io lo sentivo strillare da casa mia.
Chi ti incontrava, sentiva dai tuoi racconti storie di cadute dalle scale, inciampi, porte sbattute accidentalmente in faccia. Nella tua espressione tumefatta c’era sempre un perchè.
Tuo padre era amico di tutti. Del maestro, del farmacista, del maresciallo. Perfino del prete. E se per caso ti fossi lamentato con qualcuno, chi ti avrebbe creduto?
Poi, un giorno, sei sparito. E sai come è qua da noi, non si fanno domande, non è educazione. Ma di te si dicevano tante cose.
Dicevano di averti visto partire, una notte, di nascosto. Sembravi un ladro che scappava, inseguito dalla paura dei propri ricordi, più che da quella di essere ripreso.
Dicevano di averti visto andare in città, da un tuo amico, a cercare lavoro, per restare li’.
Dicevano di averti visto piangere, che maledivi tuo padre, che ancora lo sognavi la notte e che avevi terrore di quello che stava succedendo a tua sorella.
Quante volte avrei voluto sapere cosa facevi, dov’eri.
Ma qua da noi, non si fanno domande, non è educazione.
Dicevano di averti visto scappare ancora, che eri andato ad abitare in una capanna a qualche metro dal mare.
Per poterti alzare la mattina presto e andare a guardare il sole che sorge. E respirarne il calore che cresce dalla spiaggia.
Dicevano che c’era un vento caldo, giù al porto, quella notte che ti picchiarono in quattro, come se tu da solo avessi potuto anche solo pensare di poter dare uno schiaffo a qualcuno, magari solo per difenderti.
Dicevano che la mattina dopo ti hanno trovato in fin di vita, a metà strada tra la capanna e il mare, con il viso sorridente e lo sguardo rivolto a est.
Poi tuo padre è morto. E tu sei tornato a casa.
Oggi, non appena l’ho saputo, sono venuto qui a trovarti. Non stavo nella pelle dalla gioia. Ho preso il mio scooter e ho attraversato tutto il paese per andarti a comprare quel CD che ti piaceva tanto e che finalmente dopo anni ho trovato.
Spero ti piaccia ancora.
Guardo l’orologio sul muro. Purtroppo s’è fatto tardi.
Mi avvicino alla finestra chiusa e guardo fuori. C’è tanta gente, lampeggianti, polizia.
Tra le gambe della folla riguardo lo scooter rovesciato e il lenzuolo bianco. Vicino, un CD in mille pezzi.
Ma si. Stasera ormai non c’è più tempo per svegliarti.
Domani.
Si.
Domani magari ritorno.
Tanto so dove trovarti, ora.

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