venerdì 26 settembre 2008
Racconto - Colpo di muso
Che hai da guardarmi? Hai la coscienza sporca?
Umani. Non capite niente. Mi guardi con quegli occhi imploranti e mi fai delle domande, come se io ti potessi rispondere.
- Come ti chiami?
- Hai fame?
- Perché sei arrabbiato con me?
Lascia stare, ho le mie ragioni, per essere incazzato.
E poi occhio, che io non sono un randagio, uno di quei cani sporchi e brutti che si vedono per strada.
Sto in una casa grande, con un giardino enorme. Una cuccia con tutti i confort, pranzo e cena, finestrina con venticello che quando ho caldo mi ci butto dentro e sembra l'aria condizionata. Poi, al pomeriggio, Marco e Alessio che mi fanno correre a riprendere il legnetto. Sempre più lontano, e io corro. Sempre più veloce, e io sempre più veloce.
E poi gioco a pallone. Loro mi fanno un passaggio a mezz'altezza e io faccio un salto per prenderla con il muso. Colpo di muso, lo chiamano i bambini.
- Dick corri, c'è il gatto!
E io corro e lo faccio scappare. Mica c'ho paura, io. Una volta ce ne erano tre, l'ho rincorsi fino a quando sono scappati e non sono più tornati.
Sono io il padrone del giardino, altroché! La mattina passa Andrea, là fuori dal recinto. - Ciao Dick - mi dice e io abbaio due volte. Mi hanno insegnato a salutare così. Poi si alza la serranda della cucina e la padrona mi butta qualcosa della sera prima. Roba di prima scelta. E tutte le mattine, mica storie!
E quando esce il padrone? Mi metto vicino alla macchina e lo aspetto per salutarlo. Solo scodinzolare, perché lui odia quando mi infilo nella macchina.
Per non parlare di quando gli metto le zampe sui pantaloni per giocare. La volta che ci ho provato mi ha tirato un calcio in pancia che ho vomitato verde per due giorni. Ora lo so, botte non ne prendo più.
Strani, siete proprio strani, voi umani. Stamattina il mio padrone è stato dieci minuti a piangere come un bambino per farmi salire in macchina.
Alla fine per non sentirlo ho deciso di salire. Ma invece di farmi salire davanti con lui, come mi sarei aspettato dopo quella sceneggiata, mi ha aperto il bagagliaio, per farmi mettere sopra una busta di nailon nera e appiccicosa. Ma se hai tanta voglia di stare con me, mi metti così lontano che per parlarmi devi urlare più forte dello stereo? Ma guarda che tipo.
E continuava a urlare, e io su quel nailon, con quella puzza di lavanda che odio. E Dick di qua, e Dick di là, mi diceva che stavamo andando al lago, in un posto fantastico. Siamo arrivati e mi ha fatto scendere.
Non mi ha neanche fatto vedere un po’ di lago che mi ha fatto:
- Dick, vediamo se prendi questo!
e mi ha lanciato un legno più lontano che avessi mai visto prima.
Ah si? Ora ti faccio vedere quanto ci metto, ho pensato. Sono partito a razzo e sono tornato velocissimo.
Ma dove stai? Ma quella che va via è la tua macchina?
Umani. Ma come? Non volevi il legnetto? Corro a tutta velocità a prenderlo e poi te ne vai?
Così ho posato il legnetto e ho aspettato. Ho aspettato. Fino a che sei arrivato tu!
Appena ti ho visto ho capito tutto quello che è successo. E’ colpa tua, sicuramente. Mi ci gioco il collare.
Io stavo andando a prendere il mio legnetto e tu e il mio padrone vi siete messi anche voi a giocare a legnetto. Tu glielo hai tirato lontano, cosi’ lontano che il mio padrone ha dovuto correre in macchina per andartelo a prendere.
Dai, mi è passata, lo so che è un gioco. Può capitare di fare un tiro troppo forte. Guarda, smetto anche di abbaiare.
Giochiamo assieme. Hai un pallone? Ti faccio vedere il mio colpo di muso!
Dai, aspetta qui assieme a me. Io lo conosco bene, il mio padrone. Prima o poi ritorna, vedrai.
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