sabato 18 ottobre 2008
Racconto - Quaranta*
Che freddo avevo stamattina, Ale. Solo tu puoi capirmi. Sono andata in cucina e ho guardato fuori, attraverso la porta a vetri. Pongo scodinzolava. Sa bene come lo tratto, io. Altro che la stronza.
Ho guardato sulla tavola. Stamattina sopra c’era un settantadue, nel vasetto bianco e verde. E poi un ottantadue, nel bicchiere, con un po’ di caffè.
Ho chiuso gli occhi. Vedevo solo il quaranta. Nero, sullo sfondo rosso.
Tu sai come sono. Appena sveglia sono sempre incazzata. Il signor ottantadue e il suo amichetto settantadue sono volati nel cesso. Dura come il marmo, Ale!
Già che ero in bagno, l’ho fatto, Ale.
Quarantaquattro. Merda. Ma tu come hai fatto a scendere?
Mia madre era uscita. Oggi polpette, Ale. Mi ci gioco quello che vuoi. Come faccio? Saranno ottocento, se va bene.
Sono tornata in camera. Ho messo il riscaldamento a palla. Mi sono ranicchiata vicino al termosifone, sotto la coperta e con il phon acceso al massimo. L’ho inventato io, questo sistema contro il freddo. Che ne dici, Ale?
Ho acceso la tele. A quell’ora non c’è niente, solo cartoni e pubblicità. Però c’era quel programma sulla collezione primavera-estate. Che cazzo, Ale. Ma le hai viste?
Ho dovuto cambiare canale. E lì dolci, cioccolata! Lo stomaco mi stava facendo male.
Ma capita anche a te, Ale? Non credo. A te no. Non ti viene mai in mente di andare in cucina. Dovrei bere un cucchiaio di aceto, come fai tu, per farmi passare questa voglia.
Anzi. Mi prendo un lassativo. Ecco, ottima idea, ho pensato. L’ho comprati l’altro ieri, ne dovrei avere ancora. Mi fanno un po’ male alla pancia, ma almeno non penso ad altro.
Niente. L’ho finiti.
Quaranta.
A un certo punto mi sono svegliata. Sai quando ti guardi in giro e dici dove sono? Mi girava la testa. Che cazzo ci faccio in cucina, mi sono chiesta.
Mi sono guardata le dita. Poi sul tavolo. Ale, se mi avessero dato una coltellata, non avrebbero trovato neanche un po’ di sangue.
Davanti a me c’è solo il barattolo di nutella, vuoto.
Ale! Ma hai visto che cazzo ho fatto? Ale, mi devi aiutare, non ce la posso fare da sola! Sei o no la mia socia?
Sono corsa in bagno e mi sono infilata lo spazzolino in gola. Quella merda alla nocciola non mi avrà, ho pensato.
L’ho vista la chiazza rossastra. All’inizio mi faceva paura. Adesso so bene che è buon segno. Significa che è uscito tutto. Pensa che prima che tu me lo spiegassi mi sembrava la buccia di una mela. Ma sarò scema o no?
Poi quando vomito mi sento bene. Mi sento come Dio. Ho il controllo. Decido io.
Mi sono rimessa sotto la coperta con il phon. Mi sentivo stanca, Ale. Mi sono appisolata.
A un certo punto, la voce della troia mi ha svegliato. Indovina un po’? Mi ha comprato le polpette!
Vaffanculo. Tanto anche queste se le mangia Pongo.
Ma come facevi tu a metterti nuda davanti allo specchio e a mangiare lentamente? Non avevi freddo?
Chissà se quando una muore sente questo freddo.
Ma che mi viene da pensare! Tra qualche giorno starò benissimo. Sarò bellissima! Anzi, ora mi alzo e vado a correre. Almeno un ora. Mi copro per bene e mi faccio cinque volte il giro del parco. Milleduecento. Milleduecento calorie in meno. Poi oggi pomeriggio ti vengo a trovare.
Quella troia mi ha nascosto la tuta. Dice che la devo smettere di andare al parco tutti i giorni, che è pericoloso.
Che bello infilarsi i pantaloni senza doverli sbottonare, Ale, avevi proprio ragione. Poi oggi pomeriggio ti vengo a trovare. Vengo a vedere come fai a non mangiare, con tutti quei dottori intorno. Solo io lo so cosa ti serve, Ale. Ma perché non ci lasciano in pace?
Quaranta chili. Taglia trentotto. Ancora qualche giorno, Ale.
* vincitore del concorso A-Zine del mese di Ottobre 2008 su A.S.I.MOV.
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3 commenti:
Cammino su una piccola strada sterrata di fianco al mare, una spiga di grano si lascia accarezzare, da un verso è liscia, si torce sinuosamente tra le mie dita come le vertebre di una serpe. Il sole avvampa e camminare stanca. Ieri sera ho spaccato la chiave della mia stanza nella serratura. Ieri ero il 24 oggi sono il 29, forse tutte le chiavi aprono la stessa porta. Sono contento di aver cambiato numero anche se la stanza è sempre la stessa; il 24 è stato fatale per me, il 29 è molto più rassicurante perchè non ha nessun significato, lo acquista ora e diventa una cifra di scambio. Questo piccolo incidente ha creato una grande confusione, il cliente della stanza 29 ha la chiave numero 7 e indossa una maglietta di qualcun’altro. Brutti musi stamattina, un tedesco si alza indignato, attraversa la strada e leva un cappellino blu dalla bianca chioma di una grassa donna, rossa dal troppo sole. C’è un brusio tra i tavoli, il disappunto prende forma. Mi chiedo come mai questo albergo si chiami Canadian, meglio non chiedere, il gestore potrebbe tagliarsi i baffi e cambiare mestiere. Ho dimenticato le sigarette ma non ho il coraggio di tornare nella stanza. Mi diverte l’idea di cogliere in fragrante chi non si aspetta di essere incontrato. Salgo le scale, sono 36 gradini, cerco la stanza 36, apro con la chiave della numero 29, si apre ma la stanza è vuota i letti intonsi sono pronti ad accogliere qualsiasi peso, tutte le stanze sono uguali come le chiavi, solo i numeri cambiano. Penso a C. che mi dice di non fare cose pericolose, ma il pericolo si affaccia quando meno te lo aspetti, se lo cercassi non lo troverei mai. Una birra corrisponde a una vaschetta di noccioline mischiate a ceci secchi, così il mio tavolo è pieno di vaschette ed io non so proprio cosa farmene; potrei offrirne una alla signora a fianco che è stata scappellata poco fa, ma mi sembra sconveniente, in fin dei conti lei ha ordinato un’aranciata e non ha il diritto di avere una vaschetta. Ci sentiamo un po’ ridicoli, io pieno di noccioline, il tedesco invece è stato colpito nel profondo amor proprio, sta sicuramente pensando di anticipare la sua partenza, non per l’incidente numerico ma perchè sua moglie inizia a dargli fastidio, con tutti quei gatti spelacchiati sempre tra i piedi, sogna l’ufficio. Lo vedo, il suo piccolo tagliacarte nel cassetto sinistro deve essere riposto nella stessa posizione orientato a nord. Un bimbo si annoia, anche noi ci annoiamo ma per noi è normale. Vedo il gestore in difficoltà, è smarrito ormai non segue più i suoi clienti che schiamazzano come galline. Una donna tira i capelli a un vecchio che allunga le mani approfittando della confusione.
E? un bel pezzo, ma perchè lo hai postato qui? Dovresti postarlo nella sezione "Libera" del sito ASIMOV... qui non lo vede nessuno!
Ciao
Piero
ah ah ah ah....questa è davvero bella...
avviso di la sul forum....
tutti a postare i racconti da Kiwi!
Bacio!
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