martedì 1 aprile 2008

Racconto - La banda


Alex ce l’ha ancora la tromba. La suonava quando era ragazzo e faceva parte della banda. E quella non era una banda qualsiasi.
Era la banda del paese.
Il capo della banda si chiamava Finotti ed era tremendo. Quando facevano le prove, dopo aver suonato per dieci, venti minuti senza fermarsi, alla prima pausa passava vicino a ognuno di loro. Tu hai saltato il si, tu il re, tu hai stonato, tu hai saltato la battuta. Non avevano scampo.
Oggi è domenica, e stamattina, sotto casa, c’è una banda. Chissà se come è il capo. Di sicuro, Alex avrebbe potuto ascoltare un po’ di musica.
Sembra impossibile, ma per sentirne un po’ deve rubare qualche momento qua e là, al tempo che non basta mai.
La macchina, con tutta la radio, l’ha venduta. Con il suo stipendio a casa non se la potevano più permettere. In televisione ogni tanto si vede qualcuno che suona, ma l’apparecchio è monopolio dei figli durante il giorno e della moglie la sera. Qualche volta la notte Alex non dorme, per via di un dolore dietro la spalla sinistra. Così si alza, va piano piano in sala, mette la televisione al minimo e sintonizza su uno di quei canali che trasmettono musica giorno e notte. Poi si sdraia sul divano e si lascia cullare, fino ad addormentarsi.
Ultimamente, Alex e famiglia non se la passano proprio bene. La moglie è rimasta senza lavoro. Capirai, con due figli, chi la prende più? E lei, che ha lavorato sempre, da quando aveva quindici anni, sta per avere un esaurimento. Sono due anni che sta a casa e ce l’ha sempre con lui. Perché i soldi non bastano mai.
Lui invece ha un lavoro che non gli piace e uno stipendio piccolo piccolo.
Poco tempo fa, è andato a parlare con il suo capo. Lui lo ha fatto accomodare nel suo ufficio e gli ha fatto un discorsetto. L’azienda è in crisi, non è il momento di chiedere soldi. Persino lui, così ha detto, sono tre anni che non si cambia la macchina e sta pensando di vendere la sua villa al mare. Ad Alex tornano in mente i discorsi di crisi che si sentivano già dodici anni prima, quando iniziò a lavorare in quel posto.
Poi gli ha voluto lasciare un messaggio di speranza per il futuro, un gesto che Alex ha molto apprezzato. Le sue parole, più o meno, sono state queste: il lavoro è questo e lo stipendio pure. Se qualche cosa non ti va, la porta è aperta, puoi andartene quando vuoi. Poi, per essere sicuro che avesse capito bene il messaggio, gli ha fatto firmare una lettera di dimissioni con la data in bianco.
Alex ha ormai raggiunto anche qualche certezza. E trovare un altro lavoro? A quarant’anni sei un rudere. Non ti prende più nessuno. A meno che tu non voglia lavorare per qualche mese, a metà dello stipendio. E forse neanche così.
Ogni volta che gli viene da ripensare a questa cosa gli si riacutizza il dolore alla spalla. Ma oggi è domenica e, cascasse il mondo, stamattina Alex sentirà la banda. Così trova una scusa per la moglie e va su a godersi lo spettacolo.
Tanto sa già che avrà da ridire anche su questo.
Si piazza sul parapetto. Ci sono pure le majorettes. Guarda attentamente, per vedere se ce ne è qualcuna carina, magari come Linda, quella che era fidanzata con Roberto. La metà delle persone che li veniva a vedere lo faceva solo per le sue gambe. Poi lei camminava davanti a tutti, era la capitana.
Dov’è il trombettista? Eccolo. Però, è bravo, pensa. Anche se avrà si e no quattordici anni, se la cava bene.
Lui però non ce la fa. Si deve andare a prendere qualcosa per la spalla.
Si avvicina al portone del terrazzo per tornare in casa e una fitta lancinante gli lacera la schiena.
Non riesce a stare neanche in piedi. Istintivamente, si mette in ginocchio e si piega in avanti, sembra che così gli faccia meno male.
Resta qualche minuto così, ad aspettare che passi. Poi qualcosa gli tira la maglia da dietro, fino a strapparla e a farla cadere per terra.
Ora gli comincia a fare male anche l’altra spalla.
Alex si gira per guardare il muro, dove è proiettata la sua ombra. E resta di marmo.
Tre braccia. La figura sul muro ha tre braccia.
Si guarda le braccia e sono sempre due. Poi riguarda il muro e ce ne sono tre. Senza staccare lo sguardo da lì, si mette in piedi e prova a roterarle. Due si muovono, mentre la terza non si muove.
Oddio. Ancora quel dolore. Dietro la spalla destra ora. Alex si rimette in ginocchio.
Dopo qualche minuto, il dolore sparisce. L’ombra sul muro ora ha quattro braccia!
Alex scatta in piedi e si mette di fronte alla sua ombra.
Prova nuovamente a far ruotare le braccia. Due si muovono. Le altre due invece stanno ferme lì, come un cristo in croce.
Ho le allucinazioni, pensa. Oppure sono pazzo. Il pazzo si comporta come tale. Potrebbe scendere giù e con un coltello e fare a pezzetti piccoli piccoli la sua famiglia, spargendo gli schizzi di sangue su tutti i muri della casa. Oppure andare dal suo capo e fargli una bella presa d’aria sul davanti.
Magari mi passa, pensa. Me ne sto qui buono buono ad occhi chiusi, sperando che l’incubo finisca. Prova a convincersi che quello che ha visto potrebbe essere un effetto collaterale dei farmaci che si sta prendendo per la spalla.
Niente da fare.
Chiudiamola qui, pensa Alex. Prima di fare qualche casino.
Prende la rincorsa verso il parapetto del terrazzo e salta giù urlando.
Dall’alto del palazzo che dà sulla piazza, lo strillo di un animale ferito impietrisce prima il pubblico che affolla il marciapiede, poi le majorettes e poi tutta la banda. Tutti si fermano, con lo sguardo verso l’alto.
In quel momento, quello che sembrava uno strano volatile planò sopra la banda, che si accucciò per non essere investita, urlando a più non posso il suo verso:
“E’ BELLISSIMOOOOOOOOOOOO!!!!!!”

Copyright Piero Mattei 2007

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