lunedì 1 ottobre 2007

Racconto - La cravatta


L’odore del sigaro era insopportabile. Eppure Max era un ex-fumatore, aveva fumato Nazionali esportazione per quindici anni, ma niente, il toscano gli ha sempre dato il voltastomaco.
Nello specchietto retrovisore, il sigaro appariva e spariva, mentre quel tassista lo roteava da un lato all’altro della bocca. I fumatori non sono gente altruista, anzi, in questo sono orgogliosamente egoisti.
Max decide che in quel momento l’odore nauseabondo è l’ultimo dei suoi problemi. Si guarda le scarpe, un laccio più lungo e uno più corto. Poi si guarda i bottoni della camicia. Che strani, chissà quanto tempo era passato dall’ultima volta che si era messo una camicia senza cravatta. Erano almeno otto anni, da quando aveva comprato la prima cravatta da solo, senza l’amorevole ed invadente consulenza di Cristina. Da quel giorno la cravatta era diventato il simbolo del cambiamento e non era mai più uscito senza, neanche la domenica a pranzo da mamma.
Ma quella mattina era partito di corsa senza cravatta e quindi la sua vita stava per cambiare strada nuovamente. Di quello che si accingeva a fare non sapeva niente nessuno. Né Cristina, né i suoi. Max aveva deciso che questa volta avrebbe fatto di testa sua. Nessun ripensamento. Max già stava pensando al momento in cui, quella sera, avrebbe rivisto Tommy.
Tommy era uno determinato. Quando lo conobbe, al liceo, gli era piaciuto subito. Era uno che se si mette in testa una cosa, la porta in fondo. Qualunque cosa. Gli piaceva la ragazza più bella della scuola. Tommy, guarda che quella è una che va con quelli con i soldi. Dove vai tu, che non hai neanche la bici? Sembrava che per lui le cose facili non avessero senso. Doveva ogni volta buttare giù un muro con la cerbottana. Inutile dire che dopo qualche mese di corte spietata, fatta di regalini, bigliettini, scritte sui muri, Cristina capitolò. Un grande Tommy.
Come quando mi disse che voleva imparare a suonare la chitarra. La chitarra? Ma quella cosa che se ci metti le dita sopra non tira fuori una nota neanche se ti spari, che ti serve un maestro che ti fa due palle cosi’ con il solfeggio prima di insegnarti il giro di do? Forse per quando avrai trent’anni ce l’avrai fatta, gli dissi.
Manco a dirlo, Tommy dopo un anno non solo aveva imparato a suonare, ma aveva convinto anche Tommy ad imparare a suonare qualcosa. Tommy aveva scelto la batteria, perché pensava fosse più facile, niente note, niente spartiti, invece… Alla fine avevano messo su un gruppo, niente male. Basso, chitarra, batteria e voce. Cristina alla voce.
Ma poi il tempo e le vicende della vita avevano fatto il loro corso. Il papà di Tommy si era trasferito a Londra e Tommy con lui. Il gruppo era finito e Tommy ogni tanto tornava giù a trovare i vecchi amici. Max si era laureato e aveva trovato un bel lavoro da impiegato in una grande azienda.
“C’è un po’ di traffico stamattina, ci sono i lavori!” disse mister toscano, sbirciando dallo specchietto. “Eh, questi lavori non finiscono mai”, rispose Max. Chissenefrega dei lavori, pensò. Mai come quella mattina il tempo non aveva alcun peso. Che bello non avere i minuti contati, non dover calcolare al millimetro l’uscita di casa e la strada migliore da percorrere per non arrivare tardi al lavoro.
Lavoro. Lavoro. Questa parola ormai gli rimbombava vuota dentro la testa. Che strano, un giorno ti trovi in un posto, con diecimila cose da fare per la testa, la rana dalla bocca larga che ti sbraita contro che sei in ritardo, che le cose che servono oggi servono subito, come quelle di ieri dell’altro ieri… dopo una settimana ti arriva una telefonata.
Quella telefonata. “Max, ora voglio te. E’ fatta!” “Ma dai!!!” “Senti, lo sai che sono uno di parola, se ti dico di venire!”. Tommy è uno determinato, se decide di fare una cosa prima o poi ci riesce. Tra una settimana iniziano le prove e a Tommy gli prudono le mani. Tocca le bacchette infilate nello zaino. Poi riguarda il suo biglietto di sola andata per Londra. Da oggi Max è il nuovo batterista dei Black Woodies.


Copyright Piero Mattei 2007

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