lunedì 8 ottobre 2007

Racconto - La gara di Fabio


Bruno aveva un’abilità strepitosa a prepararsi le sigarette usando il trinciato forte e le cartine. Chi lo andava a trovare e lo vedeva mungere le bestie, sapeva che da un momento all’altro avrebbe compiuto quel gioco di prestigio degno di miglior fortuna. Perché durante la mungitura non ci si ferma, le bestie si innervosiscono. Almeno, questo era quello che sosteneva lui.

Con una mano, la destra, continuava a mungere. Con l’altra, la sinistra, estraeva il sacchetto di tabacco dalla tasca della camicia a quadri, lo poggiava sulla gamba, lo apriva, estraeva il pacchetto di cartine, ci metteva un po’ di trinciato, lo rollava e in meno di un minuto aveva una sigaretta che gli penzolava dalle labbra, accesa. E Bruno non era certamente un mancino.

La sua reggia era un podere con un bel pezzo di terra, con dieci mucche da latte. Abitava li’ da una vita, da quando suo padre Luigi prese il treno e da Padova scese con tutta la sua numerosa famiglia a bonificare “le terre irredente dell’Agro Pontino”. Come ricompensa, il governo gli avrebbe dato una casa e terra da coltivare.

Un piccolo universo, quello di Bruno. Fatto di sveglie all’alba, di mungiture, di giornate passate a lavorare nei campi, di pranzi e cene tutti assieme intorno al tavolo della cucina, di serate ad ascoltare le vecchie zie che raccontavano ai bambini storie di fantasmi e di streghe, mentre cucivano e rammendavano davanti alla stufa, con la luce di un piccolo lume ad olio.

Sessent'anni. Un fisico asciutto, solo un po’ ingobbito dalla fatica e dal duro lavoro dei campi.

I solchi scavati sulla pelle del suo viso raccontavano molto di più di quanto il suo carattere scontroso avrebbe potuto. Raccontavano di un tempo che gli aveva portato via papà, mamma, le zie. Di un figlio, portato via dal tifo.

E di Teresa. Degli altri figli, sposati e accasati lontano.

Il figlio più piccolo fortunatamente viveva ancora con lui. Fabio aveva venti anni e si divideva tra scuola e lavoro nei campi. Come tutti i figli più piccoli, aveva potuto approfittare dell'età avanzata del genitore, per spuntarla su molte cose che i fratelli più grandi non erano riusciti mai ad ottenere.

Era riuscito ad entrare nella squadra di canottaggio.

Solo se vai bene a scuola. Se cominci ad andare male, niente più allenamenti”. Bruno non aveva concesso deroghe. E Fabio non aveva mai sgarrato. Studio, lavoro e allenamenti.

Cosi’ Fabio era diventato in pochi anni un canottiere con pochi rivali. Il suo “due con” andava come il vento, sul lago di Sabaudia. Quell’anno, ad aprile, in una gara, i russi avevano appena fatto in tempo a vederlo passare. Un po' come quando da bambini, si partiva e si andava in campagna, a veder passare il treno.

Tre lunghezze. Ed ora, Fabio ed il resto della squadra era pronto per i campionati Europei, che ci sarebbero stati a Luglio, in Germania.

Bruno però non era molto contento di tutto questo. A giugno, ci sarebbe stata la trebbiatura. E chi lo avrebbe aiutato?

Cosi' un giorno dovette fare quello che non avrebbe mai voluto fare.

Dovette proibire a Fabio di allenarsi.

Fabio rimase in silenzio. Saltò l'allenamento e aiutò Bruno tutto il pomeriggio.

La notte, nel buio della sua camera, Bruno sentì Fabio piangere disperatamente. Mise la testa tra i due cuscini del vecchio letto matrimoniale con la testiera in ottone. Non pianse.

Ma non dormì.

Quando il pomeriggio dopo, Fabio saltò nuovamente l'allenamento, il suo allenatore andò personalmente a parlare con Bruno. Da solo.

Il giorno dopo, alle tre di pomeriggio, il pullman che portava tutti i giorni i canottieri all'allenamento, anzichè fermarsi per prendere su Fabio, entrò direttamente nel podere di Bruno, parcheggiandosi sul piazzale, di fronte alla concimaia. L'allenatore spense il motore e scese, seguito a ruota da venti canottieri.

“Signor Bruno, eccoci qua. Come promesso”, fece l’allenatore a Bruno, con aria soddisfatta.

Bruno diede un'occhiata a quella strana combriccola.

“Bene. Il campo è di là” li sfidò Bruno, indicando lo stradone con un cenno della testa.

Fu cosi' che un vecchio contadino, un ragazzo, un allenatore di canottaggio e venti canottieri si incamminarono verso la campagna.

I venti canottieri formarono due squadre. Sotto la direzione di Bruno, cominciarono a muoversi rapidamente su e giù per il campo ammucchiando il fieno in grande quantità.

L'atmosfera si fece rapidamente gioiosa. Come era giusto che fosse in un gruppo di ragazzi poco più che ventenni. Ogni tanto qualcuno tentava di riposarsi, di nascosto. Per poi venire duramente redarguito dall'allenatore.

Fabio cominciò anche a sorridere. Bruno ogni tanto scuoteva la testa, facendo delle smorfie che, per chi lo conosceva bene, valevano molto più di un sorriso.

Bruno e Fabio ci avrebbero messo una settimana. Le due squadre finirono in poco più di cinque ore.

A sera, mentre i ragazzi si facevano la doccia usando l'acqua fredda della gomma dell'orto, Bruno preparò il tavolo sotto il porticato. Quello grande, dove lui quando era piccolo doveva mangiare in ginocchio, da quanto era alto.

In una sera d'estate come quella, dal portico si potevano vedere i campi di grano, illuminati a giorno dalle lucciole. E sentire le cicale, che urlavano disperate la loro insofferenza per il gran caldo.

Una caldaia con otto chili di spaghetti, più diversi litri di vino, contribuirono a rendere la serata memorabile.

Finchè Bruno, un po' alticcio, riusci' ad articolare qualcosa che avrebbe voluto essere un finto rimprovero, verso Fabio.

“E domani, guai a te se salti l’allenamento!”

Tutti risero di cuore, alzando i bicchieri, per l'ennesimo brindisi.

E Fabio pianse ancora. Di gioia.


Copyright Piero Mattei 2007

Nessun commento: