Nonno Maurizio sta seduto nel suo scantinato in collina. In estate è l’unico posto dove un povero vecchio come lui riesce a sfuggire al caldo. Se ne sta spesso da solo, Maurizio. Le sue storie e i suoi ricordi ormai non interessano più a nessuno. Chi non mi vuole non mi merita, pensa. Solo un essere vivente ogni tanto scende a trovare Nonno Maurizio. Il nipote Gianmaria, un bimbetto di sei anni.
Gianmaria. Ogni volta che lo chiamava, Nonno Maurizio non poteva fare a meno di chiedersi che razza di nome aveva questo bambino. E come lui, tanti altri bambini avevano nomi altrettanto bizzarri.
Ma quei nomi semplici di una volta, Tommaso, Gianni, Marco, non li usa più nessuno?
Quel pomeriggio, Gianmaria sta giocando con uno di quegli aggeggi elettronici. Suoni, musichette sintetiche, rumori di pulsanti di plastica che si muovono continuamente.
L’arsura si fa sentire e Nonno Maurizio beve pigramente un sorso d’acqua. Poi chiude gli occhi, per goderne il fresco scorrere fino allo stomaco.
Dopo aver posato il bicchiere, Nonno Maurizio guarda in alto, sull’armadio dello scantinato, dove ci sono delle cose dimenticate da tempo. Il suo occhio si posa su uno di quegli attrezzi che usava anche lui quando andava al mare da bambino. Un secchiello verde. A fianco c’è una paletta dello stesso colore. Che strano. Ora che ci pensa, Maurizio non riesce più a ricordare da quando non vede più un bimbo giocare con paletta e secchiello.
A fatica, si alza dalla sedia e, a piccoli passi, si avvicina all’armadio. Prende il secchiello e istintivamente ne guarda il contenuto.
Con sua grande sorpresa, scorge sul fondo della sabbia. Lo avvicina al viso e fa un respiro profondo, per sentire l’odore del mare. Ma nel secchiello quell’odore non esiste più da tempo, anche se a lui pare di sentirlo.
“Cos’è quello, nonno?”
Gianmaria guarda Nonno Maurizio con gli occhi pieni di curiosità. Poi si alza e si avvicina.
“Lo senti?” fa Nonno Maurizio a Gianmaria, avvicinando il secchiello al viso del bambino. “Lo senti l’odore del mare?”
Gianmaria inspira l’aria. Poi fa spallucce. “Io non sento proprio niente, nonno” e guarda il nonno con aria interrogativa.
Già. Non si sente nessun odore. Nonno Maurizio dovette ammetterlo anche a sé stesso.
“E poi il mare puzza, non odora”. Gianmaria chiude il discorso, risedendosi a giocare con il suo odioso congegno in mano.
Anche Maurizio si risiede. Come un cercatore d’oro, gira e rigira quel secchiello in mano, facendo scorrere quel milligrammo di sabbia sul fondo tondeggiante. Poi ne prende un pizzico tra il pollice e l’indice e rotea i polpastrelli, per sentirne le consistenza. Quella sabbia l’avrebbe riconosciuta anche senza vederla, solo a sentirne lo scorrere leggero tra le dita. Sicuramente quella era la sabbia della spiaggia di Sabaudia.
Su quella spiaggia, Maurizio ci era sempre andato. Quando era piccolo, assieme al fratello, al papà e alla mamma. Di quella sabbia ne aveva vista tanta.
Giocare con quella sabbia era la cosa più bella che un bambino avesse potuto desiderare. E l’estate, su quella spiaggia spesso c’era anche papà. Le buche fino a trovare l’acqua, che papà faceva cosi’ profonde che Maurizio c’entrava in piedi. E i castelli, che il mare si divertiva a spianare appena finiti.
Gli anni erano passati, scanditi dai ricordi legati a quella spiaggia, anno dopo anno. Fino all’estate più bella della sua vita.
Quella scintillante estate del millenovecentoottanta. Un'estate dalle giornate infinite, iniziate tardi, con un ciao mamma vado al mare. La bicicletta da donna e l'asciugamano sulla sella.
Al chioschetto del campeggio, c’era un juke-box. Appena arrivati, prima di scendere in spiaggia, Maurizio ed i suoi amici compivano il rito propiziatorio del primo disco della giornata. Quando la scelta toccava a Maurizio, la giornata iniziava sempre con la maestosa voce di Sting, che raccontava di un messaggio in bottiglia. Ci sarebbe potuta essere una scelta migliore?
La spiaggia di Sabaudia. Diciotto chilometri di sabbia, a destra il mare e a sinistra il lago. In fondo un enorme promontorio color smeraldo che piomba su mare, spiaggia e lago. Il Circeo. Una cosa sconvolgente. E' come se qualcuno avesse deciso di piazzare un enorme masso, qualcosa di completamente estraneo al paesaggio, per farlo contemplare dalla battigia.
Gli asciugamani a disegnare due porte: a quanto arriviamo? a dieci? Va bene. Poi, a dieci, qualcuno immancabilmente urlava "Recupero! Recupero!". Poi Tommaso prendeva un secchio e cominciava a fare gavettoni.
Un gelato all'ombra per finire la giornata. E il martellante attacco di batteria di "My sharona" cominciava a far dondolare le teste.
"Qualche volta andiamo a Punta Rossa in bici?", chiedeva sempre Maurizio, guardando il Circeo. "Ma sei matto? E chi ce la fa?" era il coro di risposta.
Prima che tutti inforcassero le bici per tornare a casa, l’ultimo disco della giornata spesso era la canzone logica dei Supertramp, cantata in quel modo inarrivabile. "Oh ragazzi, ci facciamo una doccia e ci vediamo alla base dopo cena".
Che serate. Senza una lira.
"Forza, svuotate le tasche, che servono le sigarette!"
"No, passa dritto qua, non ho niente."
"Ma dai, sei sempre il solito pidocchio."
Alla fine, non si sa come, Gianni riusciva a comprare le sigarette. "Queste sono per dopo!". Peccato che venti sigarette, erano due giri. Ma c'erano le bici, e il dopo era il campeggio.
Ma quanto erano belle, le ragazze di Roma? Simpatiche e spontanee. E poi parlavano, parlavano, ridevano. Non ti saresti mai stancato di stare con loro. E ce ne era una che solo il nome già ti stendeva. Il giorno che l’ha conosciuta Maurizio l'ha guardata e ha sentito quegli occhi verdi penetrarlo da parte a parte.
"Ciao, io sono Elena".
Ha fatto un passo indietro, Maurizio, per non essere sopraffatto da tanta bellezza. Non aveva mai conosciuto una ragazza con un nome così bello e austero. Elena.
Gli altri dicevano che quella Elena era un po’ svitata, che parlava sempre di libri, che raccontava di strane storie sul mare e sull’amore. “Mamma mia, che palle” sentenziava Gianni.
Solo Maurizio aveva capito che quegli occhi verdi aspettavano solo qualcuno da guardare e quelle storie cercavano solo qualcuno che le ascoltasse.
Passava delle ore a parlare con lei e non importava cosa dicesse, l'importante era che lo guardasse negli occhi. Lui era uno studentello di un istituto tecnico, mentre lei studiava lettere antiche all'università. Tommaso si divertiva a chiamarlo continuamente, cercando di allontanarlo da lei: “Maurizio, facciamoci una partita a biliardino!” “Dai Maurizio, che c’è una che ti vuole conoscere!”
Ma lui niente. Non avrebbe mollato Elena neanche se lo avessero portato via di forza.
"Si chiude!!! Fuori gli estranei!!"
“Le undici e mezza! Già?” Maurizio ogni sera, sgranava gli occhi e faceva sempre la stessa domanda ad Elena, che si faceva una risata di cuore, come solo lei sapeva fare.
Poi, con la sua mano piccola e affusolata, lei gli dava una carezza sui capelli ricci.
Peppino, il custode del campeggio era inflessibile. Tutti fuori. "Ciao Elena a domani." E lei gli dava la buonanotte con un bacio sulla guancia. Dopo quello sarebbe potuto arrivare a Rimini, con la sua bici da donna.
Ma bastava arrivare alla base. E’ presto, che si fa? "Facciamo una partitella!" E si facevano le due, le tre. Un profumo di pane e di pizza cominciava ad uscire dal forno di Cesare. "Dai Cesare, facci un testo di pizza, dai, Cesare, dai…". Cesare li adorava, era come se fossero figli suoi, lui non ne aveva. E che cosa era quella pizza alle tre e mezza del mattino, con quella fame.
Maurizio aveva quindici anni. Ogni sera alle dieci precise andava al chioschetto del campeggio assieme ad Elena ed infilava cinquanta lire nel juke-box. Come il comandante di una flotta immaginaria impegnata in una battaglia navale, Maurizio guardava la sua bella negli occhi e dettava le coordinate per colpire.
K…6!
"E guardo il mondo da un oblo'...".
A Maurizio piaceva Gianni Togni. Anche ad Elena, colpita al cuore e affondata ogni sera da quei versi. Nella ruota del juke-box c'erano tanti dischi, ma quella canzone sarebbe rimasta nella sua memoria a ricordare quei mesi bellissimi e spensierati.
Una lacrima trascina via la vista di quel piccolo pezzo di spiaggia. Prima che un singhiozzo gli tolga il respiro, Nonno Maurizio si alza e va alla finestra, per non farsi vedere.
Sereno. E’ ormai la quarta estate che non piove. Le colline sono tutte riarse dal sole e dagli incendi. Ogni primavera, un nuovo residence prende il posto di un prato, o di un bosco.
È pomeriggio e si è alzata la solita brezza. Dal fondo della valle arriva un odore forte, di pesce marcio. La puzza di mare, come la chiama Gianmaria.
Oltre le colline, il promontorio del Circeo si vede appena. Una piccola isola. La spiaggia è stata ingoiata dal mare quattro anni fa, così tutti i campeggi ed i paesi della costa. Gli abitanti si sono rifugiati in collina.
Il mare fa paura, ora.
“Perché piangi, nonno?”
“Hai ragione tu Gianmaria”, dice Nonno Maurizio tra le lacrime.
“Il mare puzza. Ora.”
Nonno Maurizio si risiede. Ma di staccare lo sguardo dalla finestra non se ne parla. Chissà dove sarà ora Tommaso, che faceva i gavettoni. E dove sarà Gianni, che si inventava i soldi per le sigarette.
Ed Elena? Dove sarà ora Elena?
Il comandante Maurizio chiude gli occhi. Infila cinquanta lire nel juke-box della sua memoria.
Poi riarma la sua flotta immaginaria.
Per colpire ancora.
Per provare a suonare ancora quella canzone di un milione di anni fa.
K…6!
Bel colpo, comandante.
“E guardo il mondo da un oblò…”
Gianmaria. Ogni volta che lo chiamava, Nonno Maurizio non poteva fare a meno di chiedersi che razza di nome aveva questo bambino. E come lui, tanti altri bambini avevano nomi altrettanto bizzarri.
Ma quei nomi semplici di una volta, Tommaso, Gianni, Marco, non li usa più nessuno?
Quel pomeriggio, Gianmaria sta giocando con uno di quegli aggeggi elettronici. Suoni, musichette sintetiche, rumori di pulsanti di plastica che si muovono continuamente.
L’arsura si fa sentire e Nonno Maurizio beve pigramente un sorso d’acqua. Poi chiude gli occhi, per goderne il fresco scorrere fino allo stomaco.
Dopo aver posato il bicchiere, Nonno Maurizio guarda in alto, sull’armadio dello scantinato, dove ci sono delle cose dimenticate da tempo. Il suo occhio si posa su uno di quegli attrezzi che usava anche lui quando andava al mare da bambino. Un secchiello verde. A fianco c’è una paletta dello stesso colore. Che strano. Ora che ci pensa, Maurizio non riesce più a ricordare da quando non vede più un bimbo giocare con paletta e secchiello.
A fatica, si alza dalla sedia e, a piccoli passi, si avvicina all’armadio. Prende il secchiello e istintivamente ne guarda il contenuto.
Con sua grande sorpresa, scorge sul fondo della sabbia. Lo avvicina al viso e fa un respiro profondo, per sentire l’odore del mare. Ma nel secchiello quell’odore non esiste più da tempo, anche se a lui pare di sentirlo.
“Cos’è quello, nonno?”
Gianmaria guarda Nonno Maurizio con gli occhi pieni di curiosità. Poi si alza e si avvicina.
“Lo senti?” fa Nonno Maurizio a Gianmaria, avvicinando il secchiello al viso del bambino. “Lo senti l’odore del mare?”
Gianmaria inspira l’aria. Poi fa spallucce. “Io non sento proprio niente, nonno” e guarda il nonno con aria interrogativa.
Già. Non si sente nessun odore. Nonno Maurizio dovette ammetterlo anche a sé stesso.
“E poi il mare puzza, non odora”. Gianmaria chiude il discorso, risedendosi a giocare con il suo odioso congegno in mano.
Anche Maurizio si risiede. Come un cercatore d’oro, gira e rigira quel secchiello in mano, facendo scorrere quel milligrammo di sabbia sul fondo tondeggiante. Poi ne prende un pizzico tra il pollice e l’indice e rotea i polpastrelli, per sentirne le consistenza. Quella sabbia l’avrebbe riconosciuta anche senza vederla, solo a sentirne lo scorrere leggero tra le dita. Sicuramente quella era la sabbia della spiaggia di Sabaudia.
Su quella spiaggia, Maurizio ci era sempre andato. Quando era piccolo, assieme al fratello, al papà e alla mamma. Di quella sabbia ne aveva vista tanta.
Giocare con quella sabbia era la cosa più bella che un bambino avesse potuto desiderare. E l’estate, su quella spiaggia spesso c’era anche papà. Le buche fino a trovare l’acqua, che papà faceva cosi’ profonde che Maurizio c’entrava in piedi. E i castelli, che il mare si divertiva a spianare appena finiti.
Gli anni erano passati, scanditi dai ricordi legati a quella spiaggia, anno dopo anno. Fino all’estate più bella della sua vita.
Quella scintillante estate del millenovecentoottanta. Un'estate dalle giornate infinite, iniziate tardi, con un ciao mamma vado al mare. La bicicletta da donna e l'asciugamano sulla sella.
Al chioschetto del campeggio, c’era un juke-box. Appena arrivati, prima di scendere in spiaggia, Maurizio ed i suoi amici compivano il rito propiziatorio del primo disco della giornata. Quando la scelta toccava a Maurizio, la giornata iniziava sempre con la maestosa voce di Sting, che raccontava di un messaggio in bottiglia. Ci sarebbe potuta essere una scelta migliore?
La spiaggia di Sabaudia. Diciotto chilometri di sabbia, a destra il mare e a sinistra il lago. In fondo un enorme promontorio color smeraldo che piomba su mare, spiaggia e lago. Il Circeo. Una cosa sconvolgente. E' come se qualcuno avesse deciso di piazzare un enorme masso, qualcosa di completamente estraneo al paesaggio, per farlo contemplare dalla battigia.
Gli asciugamani a disegnare due porte: a quanto arriviamo? a dieci? Va bene. Poi, a dieci, qualcuno immancabilmente urlava "Recupero! Recupero!". Poi Tommaso prendeva un secchio e cominciava a fare gavettoni.
Un gelato all'ombra per finire la giornata. E il martellante attacco di batteria di "My sharona" cominciava a far dondolare le teste.
"Qualche volta andiamo a Punta Rossa in bici?", chiedeva sempre Maurizio, guardando il Circeo. "Ma sei matto? E chi ce la fa?" era il coro di risposta.
Prima che tutti inforcassero le bici per tornare a casa, l’ultimo disco della giornata spesso era la canzone logica dei Supertramp, cantata in quel modo inarrivabile. "Oh ragazzi, ci facciamo una doccia e ci vediamo alla base dopo cena".
Che serate. Senza una lira.
"Forza, svuotate le tasche, che servono le sigarette!"
"No, passa dritto qua, non ho niente."
"Ma dai, sei sempre il solito pidocchio."
Alla fine, non si sa come, Gianni riusciva a comprare le sigarette. "Queste sono per dopo!". Peccato che venti sigarette, erano due giri. Ma c'erano le bici, e il dopo era il campeggio.
Ma quanto erano belle, le ragazze di Roma? Simpatiche e spontanee. E poi parlavano, parlavano, ridevano. Non ti saresti mai stancato di stare con loro. E ce ne era una che solo il nome già ti stendeva. Il giorno che l’ha conosciuta Maurizio l'ha guardata e ha sentito quegli occhi verdi penetrarlo da parte a parte.
"Ciao, io sono Elena".
Ha fatto un passo indietro, Maurizio, per non essere sopraffatto da tanta bellezza. Non aveva mai conosciuto una ragazza con un nome così bello e austero. Elena.
Gli altri dicevano che quella Elena era un po’ svitata, che parlava sempre di libri, che raccontava di strane storie sul mare e sull’amore. “Mamma mia, che palle” sentenziava Gianni.
Solo Maurizio aveva capito che quegli occhi verdi aspettavano solo qualcuno da guardare e quelle storie cercavano solo qualcuno che le ascoltasse.
Passava delle ore a parlare con lei e non importava cosa dicesse, l'importante era che lo guardasse negli occhi. Lui era uno studentello di un istituto tecnico, mentre lei studiava lettere antiche all'università. Tommaso si divertiva a chiamarlo continuamente, cercando di allontanarlo da lei: “Maurizio, facciamoci una partita a biliardino!” “Dai Maurizio, che c’è una che ti vuole conoscere!”
Ma lui niente. Non avrebbe mollato Elena neanche se lo avessero portato via di forza.
"Si chiude!!! Fuori gli estranei!!"
“Le undici e mezza! Già?” Maurizio ogni sera, sgranava gli occhi e faceva sempre la stessa domanda ad Elena, che si faceva una risata di cuore, come solo lei sapeva fare.
Poi, con la sua mano piccola e affusolata, lei gli dava una carezza sui capelli ricci.
Peppino, il custode del campeggio era inflessibile. Tutti fuori. "Ciao Elena a domani." E lei gli dava la buonanotte con un bacio sulla guancia. Dopo quello sarebbe potuto arrivare a Rimini, con la sua bici da donna.
Ma bastava arrivare alla base. E’ presto, che si fa? "Facciamo una partitella!" E si facevano le due, le tre. Un profumo di pane e di pizza cominciava ad uscire dal forno di Cesare. "Dai Cesare, facci un testo di pizza, dai, Cesare, dai…". Cesare li adorava, era come se fossero figli suoi, lui non ne aveva. E che cosa era quella pizza alle tre e mezza del mattino, con quella fame.
Maurizio aveva quindici anni. Ogni sera alle dieci precise andava al chioschetto del campeggio assieme ad Elena ed infilava cinquanta lire nel juke-box. Come il comandante di una flotta immaginaria impegnata in una battaglia navale, Maurizio guardava la sua bella negli occhi e dettava le coordinate per colpire.
K…6!
"E guardo il mondo da un oblo'...".
A Maurizio piaceva Gianni Togni. Anche ad Elena, colpita al cuore e affondata ogni sera da quei versi. Nella ruota del juke-box c'erano tanti dischi, ma quella canzone sarebbe rimasta nella sua memoria a ricordare quei mesi bellissimi e spensierati.
Una lacrima trascina via la vista di quel piccolo pezzo di spiaggia. Prima che un singhiozzo gli tolga il respiro, Nonno Maurizio si alza e va alla finestra, per non farsi vedere.
Sereno. E’ ormai la quarta estate che non piove. Le colline sono tutte riarse dal sole e dagli incendi. Ogni primavera, un nuovo residence prende il posto di un prato, o di un bosco.
È pomeriggio e si è alzata la solita brezza. Dal fondo della valle arriva un odore forte, di pesce marcio. La puzza di mare, come la chiama Gianmaria.
Oltre le colline, il promontorio del Circeo si vede appena. Una piccola isola. La spiaggia è stata ingoiata dal mare quattro anni fa, così tutti i campeggi ed i paesi della costa. Gli abitanti si sono rifugiati in collina.
Il mare fa paura, ora.
“Perché piangi, nonno?”
“Hai ragione tu Gianmaria”, dice Nonno Maurizio tra le lacrime.
“Il mare puzza. Ora.”
Nonno Maurizio si risiede. Ma di staccare lo sguardo dalla finestra non se ne parla. Chissà dove sarà ora Tommaso, che faceva i gavettoni. E dove sarà Gianni, che si inventava i soldi per le sigarette.
Ed Elena? Dove sarà ora Elena?
Il comandante Maurizio chiude gli occhi. Infila cinquanta lire nel juke-box della sua memoria.
Poi riarma la sua flotta immaginaria.
Per colpire ancora.
Per provare a suonare ancora quella canzone di un milione di anni fa.
K…6!
Bel colpo, comandante.
“E guardo il mondo da un oblò…”
Copyright Piero Mattei 2007
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2 commenti:
Wow, un blogger... complimenti!
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