lunedì 1 ottobre 2007

Racconto - Trocadero Club


Eccoti qua. Come tutte le sere, sei pronta per uscire. Un paio di scarpe basse rosse, con un fiorellino giallo sul davanti. Un vestito celeste a fiori, con la gonna corta, un piccolo spacco su una gamba.
Tua madre non ti chiede niente. Sa che esci, ma c’è una sorta di accordo: non voglio sapere nulla, cosi’ non ti devo chiedere conto di nulla. L’unica cosa che vuole è un sorriso, lanciato dalla porta, prima di chiuderla alle tue spalle.
Eccoti qua. Pilar. Con la sfrontatezza dei tuoi quindici anni, il sorriso e la voglia di ingoiare il mondo in un sol boccone. Corri e ridi, ridi e corri. C’è un’altra notte da passare a regalare illusioni.
Che fila al Trocadero Club per entrare. Ma qui ti conoscono. Tuo cugino fa il buttafuori e con uno stratagemma sei dentro anche stasera.
La lattina di Tropicola ti gela le mani, mentre guardi distrattamente la pista, dove i ballerini di merengue si muovono al ritmo travolgente della musica. Quanta gente felice al Trocadero Club. C’è il vecchio cameriere impomatato, con la sua giacca bianca, stretta e consunta da migliaia di serate di lavoro. Le movenze non sono più quelle di una volta, ma la gentilezza e il mestiere si. C’è il trombettista del gruppo che guarda il sedere delle coriste.
I turisti, seduti ai tavoli, si guardano intorno, cercando compagnia. Che buffi, pensa Pilar. Pensano di darsi un tono fumando un Montecristo dietro l’altro e scolando bottiglie di Havana Club. Ma e’ ora di darsi da fare.
“Italiano. Quieres bailar con migo?”. Il piccolo italiano pelato e ciccione si alza e stringe Pilar a se con forza, facendole male. Ma lei sorride e lo porta in pista. Non importa se lui le infila le mani dappertutto. A Pilar piace ballare. Si sente leggera leggera. E pensa a quando da piccola sentiva la radio nella baracca con i suoi fratelli e ballava, ballava.
“Andiamo?” fa a muso duro il ciccione. Perché no? Si va.
La camera è vicino al locale. Si fa presto. Il ciccione non vuole aspettare. Pilar lo spinge sul letto. “Italiano, calmo”. L’ultimo le ha strappato il vestito e per tornare a casa ha dovuto farsene prestare uno dalla sua amica Teresita. Si spoglia piano, posando dolcemente il vestito su una sedia e mettendo sotto le scarpe rosse. Poi si sdraia e chiude gli occhi, cercando di immaginare il suo Pedro al posto del ciccione.
“Puttana. Tutta colpa tua!”. Un ceffone. Poi un altro. Poi una grandine. Lei si chiude a riccio e piagnucola. “No italiano no!”. Lui non la smette. “Vuoi i soldi? Eccoli.” Il ciccione glieli infila in bocca, fino quasi a strozzarla. Poi si riveste e se ne va.
Eccoti qua, Pilar. Come tutte le sere, sei sulla strada di casa. Un paio di scarpe basse rosse, con un fiorellino giallo sul davanti. Un vestito celeste a fiori, con la gonna corta, un piccolo spacco su una gamba. La faccia tumefatta e gli occhi pieni di lacrime. Nella mano destra trenta dollari. In testa una malinconica salsa. Che fatica tornare stasera, da Varadero.


Copyright Piero Mattei 2007

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